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Cineforum: Pietro Germi. Un problema di coscienza. Di Classe.

Al CSP il ciclo di cineforum di novembre e dicembre scava nella evoluzione sociale del dopoguerra e del primo boom economico.

“Divertire non significa soltanto far ridere, ma far ridere e far piangere o emozionare o tenere sospesi con il fiato in gola”

Germi era un intellettuale di sinistra, diremmo oggi, ma della sinistra dei suoi anni, oggi non più riproposta. Eppure non ebbe mai buoni rapporti con la critica cinematografica di sinistra che lo giudicava negativamente più per le sue posizioni politiche che per l'effettivo valore estetico dei suoi film. Germi in particolare aveva osato, lui antifascista convinto, mettere in discussione lo stereotipo che la sinistra si era costruito della figura dell'operaio. Per questo motivo, per un lungo periodo sino alla fine degli anni ottanta Germi fu messo da parte dalla intellighenzia del partito comunista che non poteva accettare quello che Germi aveva intuito: la trasformazione sociale della classe operaia. La colpa del regista era quella, secondo Guido Aristarco, direttore di “Cinema Nuovo” scrivendo de Il ferroviere, di avere dato al protagonista Marcocci una configurazione politica che «appartiene a un populismo storicamente sorpassato» con idee risalenti «all'epoca del movimento socialista esordiente [...] con i turatiani del primo dopoguerra...»
Insomma il vero operaio non può essere un crumiro come il ferroviere di Germi.
Critiche queste della sinistra che venivano contraddette dal successo che la pellicola incontrò presso il pubblico popolare in Italia, a Mosca e a Leningrado durante “La settimana del film italiano”.
Le stesse critiche, se non più aspre, ritornarono in occasione della prima dell'Uomo di paglia dove addirittura il protagonista, un operaio, viveva un classico dramma borghese che non poteva appartenergli. Scriveva Umberto Barbaro: «Cari amici, a me questi operai di Germi che si comportano senza intelligenza e senza volontà, senza coscienza di classe e senza solidarietà umana - metodici e abitudinari come piccoli borghesi - la cui socialità si esaurisce in partite di caccia domenicali o davanti ai tavoli delle osterie - che non hanno né brio né slanci, sempre musoni e disappetenti, persino nelle cose dell’amore - che ora fanno i crumiri e ora inguaiano qualche brava ragazza, spingendola al suicidio - e poi piangono lagrime di coccodrillo, con le mogli e dentro chiese e sagrestie - questi operai di celluloide, che, se fossero di carne ed ossa, voterebbero per i socialdemocratici e ne approverebbero le alleanze, fino all’estrema destra, non solo sembrano caricature calunniose ma mi urtano maledettamente i nervi».
Anche gli intellettuali di sinistra dissidenti da queste posizioni estreme, che non potevano non apprezzare l'arte cinematografica di Germi, non avevano però il coraggio di dirlo apertamente mantenendosi su una posizione di “qui lo dico e qui lo nego”, come Glauco Viazzi, che sosteneva che volesse dire ignorare la realtà sociale non riconoscere che «operai siffatti esistono nella realtà e in gran numero, e non solo tra quelli che poi votano dicì o socialdemocratico, ma anche tra quelli che danno il voto ai partiti di classe».
Altri come Antonello Trombadori, direttore de Il Contemporaneo, insieme al vicedirettore Carlo Salinari e allo storico Paolo Spriano, scrivevano nel 1956 a Palmiro Togliatti una lettera destinata a rimanere privata - venne resa pubblica solo nel 1990 - con la quale chiedevano al segretario del partito di incontrarsi con Germi per non allontanare un uomo e i “mille come lui” così importante per il movimento antifascista: «Veniamo proprio in questi giorni dall’aver visto un film italiano assai bello e commovente, certamente popolare: “Il ferroviere”, di Pietro Germi. È un’opera di un socialdemocratico militante, eppure è un film pervaso da ogni parte di sincero spirito socialista».
Insomma, che dire? Pietro Germi ha colto una trasformazione dolente (qualcosa che ci ricorda Pasolini) che avrebbe impantanato gli ideali di cambiamento sociale dentro una palude piccolo borghese, o semplicemente, come pensò qualcuno, ha semplicemente tradito quegli ideali per debolezza ideologica? Proviamo insieme a darci una risposta.

Domenica 10 novembre 2013

IN NOME DELLA LEGGE

Regia di Pietro Germi (Italia 1949 – 99’)
E' il primo film italiano sulla mafia e sulla questione meridionale post Unità. Non è un film perfetto; ha ingenuità, quali la resa finale della mafia ed il flirt tra il Pretore e la moglie del barone, ma il suo impegno civile è profondo, trascinante, come è grande la descrizione della Sicilia, terra bruciata, un mondo senza età, fatto di sentimenti ancestrali. Il film, vero western all’italiana, ha dei brani che sono diventati scene da antologia cinematografica. Grandi gli interpreti, tutti perfetti nei loro ruoli.

Domenica 17 novembre 2013

IL FERROVIERE

Regia di Pietro Germi (Italia 1955 – 120’)
Grande lavoratore in crisi umana e professionale in un film in cui Germi è regista e grande interprete. Un film, dice Germi, fatto per gente all’antica, col risvolto ai pantaloni… . La sua poetica ricorda Capra e De Amicis, ma il neorealismo intimistico ha in lui un narratore popolare ad alto livello. Il film ha avuto molti premi, sia al regista che agli attori, bravissimi.

Domenica 1 dicembre 2013

DIVORZIO ALL’ITALIANA

Regia di Pietro Germi (Italia 1962 – 120’)
Barone siciliano, stanco della moglie ed innamorato della bella e giovane cugina, contando sul “delitto d’onore”, uccide la consorte. Dopo una brevissima detenzione, può sposare la cugina, ma… . Germi sfrutta il suo amore-odio per la società meridionale, attaccandola, appunto, con amore e con rabbia, aiutato da un ottimo sceneggiatore e da un grande Mastroianni.

Domenica 8 dicembre 2013

SIGNORE E SIGNORI    

Regia di Pietro Germi (Italia- Francia 1965 – 118’)
Ultimo tra i grandi film di Germi. Il regista attacca il perbenismo cattolico di una città del nord-est (Treviso) con una feroce commedia all’italiana, più cattiva di quelle girate al sud ed aiutato da una grande sceneggiatura. L’ ipocrisia di quella società viene messa alla berlina in modo veramente impietoso. Ottimi tutti gli attori, specie il personaggio più “positivo”, Gastone Moschin. Palma d’oro a Cannes.

Le proiezioni, seguite da una conversazione tra gli spettatori, si svolgono come sempre nei capannoni del Centro Sociale di Casalpalocco, in viale Gorgia di Leontini 171, alle ore 17.00


Pubblicato il 04/11/2013 alle ore 00:00

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